Universitary – 1970

Può un tubo diventare un’ arte?

Ritratto di uno scultore : STELVIO BOTTA
Si talvolta, Anche per Stelvio Botta è cosi: talvolta. Quando Il rame e il ferro, martorizzati ed ossidati presentano l’anima dell’artista così come è: ossidata e martorizzata. Ha cominciato Botta, con umani volti da altare. Molto umani, forse statici, anche se molto belli. Scultura classica, quasi tradizionale, che esprime forse un’epoca, una scuola, non già un mondo. Perché è l’animo, la vita stessa dell’artista che viene a vivere nell’opera e quando questo soffio vitale manca, non manca l’opera, ma manca l’arte. Il vetro troppo levigato delle sue prime sculture (anche se diamo atto all’artista che ha voluto e saputo trattare una materia così difficile e tanto poco adatta alla scultura) é freddo, non riesce a parlare, E se un suo preziosissimo volto di donna ha la bocca socchiusa anch’esso manca della parola. Troppo statici alcuni suoi mosaici: lucido e netto il disegno che segue più un cartone predisposto e non impulso, la passione del momento.

Lentamente, con un cammino faticoso ed umile, chiuso nel suo studio che è insieme officina e tempio, Stelvio Botta, sono passati 20 anni dalle sue prime opere, ha ritrovato se stesso. Un io duro, metallico, che si piega docile alla fiamma dell’arte, Il momento di passaggio ha l’impronta del neo-cubismo. Ma subito Botta se ne staccia la sua forte personalità ha il sopravvento: non copiare, ricalcare, seguire una cor-rente, ma costruire qualcosa di nuovo, di più. Nella nostra generazione. che più che del dissenso possiamo definire del nonsenso in cui si vuole che la gente parli un linguaggio forzatamente diverso, Botta ha saputo ricostruire una dimensione umana, una realtà nuova, che forse di reale non ha nulla che il reale trascende per parlare con maggiore semplicità e più vitale espressività…

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